Giobbe crogiolo della fede
Giobbe crogiolo della fede
Nel Libro di Giobbe varie voci si uniscono per penetrare nel mistero del dolore umano. Il male e il dolore gridano con tutta la loro forza contro la mente dell’uomo. Ma Giobbe integra il dolore in un disegno misterioso di Dio sull’uomo. L’assurdo si fa mistero. E davanti al mistero, Giobbe sperimenta: la disperazione e la bestemmia. La fede vince la disperazione e diventa canto di lode.
C’era una volta un uomo
«C’era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe» (1,1). Giobbe è un uomo, un uomo qualunque. È Adamo. È Cristo, il nuovo Adamo, che si fece in tutto simile all’uomo (Fil 2,7). Giobbe è nostro contemporaneo, perché vive quello che viviamo noi, si fa le nostre stesse domande. Giobbe pone sulle nostre labbra la stimolante domanda: Perché? Perché l’innocente, perché io, che sono innocente, debbo soffrire?
Ogni giorno, leggendo il giornale o vedendo il telegiornale, nasce in noi il grido di Giobbe: «La terra è lasciata in balia del malfattore: egli vela il volto dei suoi giudici» (9,24). Giobbe si ribella davanti alla sofferenza degli innocenti e anche davanti alla felicità dei malfattori, che commettono i loro crimini impunemente: «Perché i malfattori vivono in pace?».
Giobbe è Adamo. Possiamo dire che Giobbe non è un nome proprio, bensì un nome comune a ogni uomo. Appare nella narrazione senza alcuna precedente indicazione che lo riguardi; non ci viene detto nulla sul nome del padre, come accade normalmente nella Scrittura: «figlio di…». Non si conosce né il nome del padre, né della madre, né del nonno. Si dice soltanto: «C’era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe». Giobbe è un uomo senza cognomi. I rabbini, nei loro commentari, hanno situato Giobbe nelle più diverse e distanti epoche della storia. Il fatto è che Giobbe appartiene a ogni epoca. È di ieri e di oggi.